Mi basta e mi avanza aver compiuto il gesto del dare anch’io quanto ho ricevuto, come fa la vecchia staffetta nella corsa della vita che passa il testimone alla nuova e fresca, già nello slancio di correre a sua volta il tratto che le spetta.
Non è giusto, quando si tratta di evangelo, disunire quello che Gesù ha unito, ossia i due verbi “ricevere e dare” (Mt 10, 8), due verbi che contengono tutta la stupenda avventura dell’essere chiamati a seguire Gesù, esserne discepoli. Che cosa, infatti, abbiamo che non ricevemmo? Chi avrebbe potuto pensare a un Dio che si manifesta esclusivamente in Gesù, e che,
quindi, continuamente si rivela alla nostra umanità?
E’ il Dono assoluto. Il discepolo è poi inviato: Andate, predicate a tutti l’evangelo ricevuto, e trasmettetelo, datelo fino agli estremi confini della terra, con la forza solo della fede; che è pur essa dono. C’è poi un elemento che caratterizza solo il ricevere e il dare dell’Evangelo: un avverbio accanto al ricevere e al dare, senza il quale l’Evangelo non introdurrebbe niente che non sia risaputo o a cui non si possa giungere attraverso l’esperienza umana se il ricevere e il dare stanno a fondamento della stessa vita ed è l’avverbio gratuitamente. Dove possiamo trovare un comportamento, un’azione d’uomo che sia assolutamente gratuita in se stessa? Anche il trasmettere la vita, anche il dare la propria vita, atti per eccellenza gratuiti a inizio e fine della vita che si vede e si tocca, sono già in sé avvolti da un pulviscolo d’interesse, tale non foss’altro che per testimoniare la gratuità del ricevere e del dare.
Un paradosso, certo, per sottolineare che il “gratuitamente” dell’Evangelo è altra cosa, senza per questo che il “gratuitamente” degli uomini non possa essere conforme all’Evangelo, come il raggio del sole è tutt’altra cosa del pulviscolo, eppure quest’ultimo serve per metterlo in risalto.
Se vogliamo allora sapere che significa il “gratuitamente” dell’Evangelo dobbiamo guardare solo alla Buona Notizia che si chiama Gesù, rivelazione, nella sua stessa carne, del Padre celeste. Solo lui ha realizzato, senza pulviscolo d’interessi, il ricevere e il dare. Se il ricevere e il dare sono come la diastole e la sistole del cuore dell’umanità, l’avverbio “gratuitamente” unifica il ritmo binario nell’unità e trinità del cuore di Dio, in un circolo perfetto che è lo Spirito: Dio è Spirito, perché è Amore assoluto e, quindi, gratuito. Credo che per non patire delusioni d’attese da parte degli uomini (e non c’è delusione più amara dello scorgere un minimo interesse in quanto si proclama gratuito!) sia necessario tenere presente tale unicità. Solo Lui non delude. Potrà deludere chi ne parla, perché a un certo momento si scorge che, sotto o accanto al parlarne, c’è un interesse, anche della più nobile lega, come quello di cercare, in nome di Dio, quell’approvazione di convincimento che dissolve ogni paura d’essere veramente dei servi inutili. Si parla spesso, anche nelle preghiere liturgiche, di premio eterno, di meriti che ci garantiscono in contraccambio la gioia di Dio. Purissima lega, certo, il massimo che possiamo raggiungere, ma non è la Gratuità dell’Unico, che rivela nel suo stesso Corpo di aver ricevuto gratuitamente e di dare gratuitamente.
E allora, che fare? Come comportarmi nelle mie scelte d’ogni giorno se voglio tenere presente tale comandamento? Innanzitutto penso sia necessario che mi senta immerso, come fatto non solo personale, ma di chiesa, in tale trasmissione della Parola evangelica. Se essa è giunta fino a noi è perché di generazione in generazione è stata data e ricevuta, assieme all’ingombrante avverbio “gratuitamente”. Dico “ingombrante” perché si esige l’eliminazione d’ogni interesse da parte della chiesa nella sua continua convocazione, per pura grazia, a portare il lieto Annuncio della gratuità di Dio fino agli estremi confini della terra. È dunque il “gratuitamente” che caratterizza il ricevere e il dare dell’Evangelo giacché Dio se ci ha amato per primo, se ha precorso ogni nostra risposta di assenso o di rifiuto, è la Gratuità assoluta, senza nessun interesse.
E qui arriviamo all’interrogativo che ci fa scendere sul terreno della quotidianità, che è poi quello sul quale giochiamo la nostra sequela dell’Evangelo. Come si concretizza nell’agire della chiesa e, quindi, anche nostro, dato che siamo chiesa, il ricevere e il dare gratuitamente? La risposta, se guardiamo all’Unico gratuito, è facile: cercare di togliere ogni motivazione d’interesse nella trasmissione dell’Evangelo, come se si affermasse: anch’io l’ho ricevuto gratuitamente, senza che fosse condizionato da qualche mio contraccambio; pertanto come potrei chiedere qualche cosa in cambio nella trasmissione che te ne faccio? O anche attendermi solo un grazie?
Ma, concretamente, che cosa dobbiamo fare per rispondere con verità a questo avverbio evangelico? Sarebbe illusorio attendersi una risposta che ciascuno di noi deve dare nelle circostanze della vita che gli sono proprie; quello che importa è che, in qualsiasi modo si voglia trasmettere l’Evangelo, lo si faccia senza interesse alcuno, di potere, di valere qualcosa, d’aver peso secondo il pensare degli uomini, al limite perfino di essere testimoni (“Quando avete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quello che dovevamo fare” Le 17, 10). Testimoni della Gratuità evangelica? È possibile solo se indico come unico Gratuito, Cristo. Da qui il mio comportamento concreto che risponde alla domanda che mi pongo di volta in volta: indico nella mia scelta di trasmettere l’Evangelo l’unico Gratuito, cercando di essere credibile?
Non trovo altra via per educarci ed educare alla Gratuità! Vi posso solo confidare la mia cartina di tornasole, che poi non è mia, perché, come vi dissi, la si trova in ogni pagina d’Evangelo: il non avere paura nemmeno d’affondare, il fare pace dentro di me nonostante che la Parola sia più tagliente di una spada a doppio taglio e mi penetri fino nel profondo dell’anima, frugandomi con tale lama fino alle giunture e nel midollo per discernere i sentimenti e i pensieri del cuore (Eb 4, 12), e, conseguentemente, essere nella gioia.
Ma che cosa è la gioia? Che definizione dare a questo sentimento? la gioia sconfigge la paura e ricompone le nostre divisioni. Potremmo allora dire che la cartina di tornasole del comportamento gratuito, a ridurla a un solo elemento, è la gioia. Proprio come ci suggeriscono i due termini che l’Evangelo sceglie per significare gratuità e gioia, di comune radice e di comune fioritura: chàris, per grazia, gratuità; charà, per gioia. Vedete, la radice è uguale: char, che in italiano, per quel fenomeno linguistico detto metatesi, diventa gra.
La prima parola che viene in mente, derivante da questa comune radice? È Grazie. In fondo è questa la risposta al Dono di Dio; ma anche la possibilità di rispondere Grazie è un Dono. Non è il Corpo di Cristo crocifisso e risorto il Dono assoluto? E quando ne facciamo memoria, ossia lo rendiamo presente, l’attualizziamo nel buio della fette, non facciamo per pura grazia l’eucaristìa, il rendimento di grazie di tutta la chiesa?
Tutto qui? Sì, tutto qui. Se proprio un vecchio prete deve dare un suggerimento fraterno nella stessa fede, nello stesso Spirito, a dei giovani che sentono di dover trasmettere quanto hanno ricevuto (gratuitamente), educatevi al Grazie e ne sarete educatori, come lasciandoci evangelizzare dalla Parola saremo nello stesso momento evangelizzatori.