(…) Hai un bel dire: è impossibile l’evangelizzazione, stando così le cose, ecc.; la tua affermazione ti ricade addosso col grido di Paolo: «Guai a me se non evangelizzo!».
Si può uscire dal cerchio? È possibile continuare a cercare la strada della credibilità come Chiesa, per poter proporre onestamente il messaggio, pur sapendo che la tua credibilità, se la tenti, non vale nulla in quanto è necessaria una credibilità di Chiesa? La logica del Varvello ti dice di no; la logica della Parola di Dio, per cui mille anni sono come un giorno, ti dice di sì. Certo, ogni ragionamento costruito con mezzi umani ti si sgretola fra le mani, e allora ti devi abbandonare all’ “assurdo” di Dio”. Mi sembra che se non si tiene conto di questa “signoria-di Dio” che oggi può anche manifestarsi nel nostro senso d’impotenza, si rischia di fare dell’evangelizzazione e, di conseguenza, della Chiesa un fatto puramente di uomini, che può essere analizzato con tutti gli strumenti che hai a disposizione, ma, difficilmente compreso nella sua dimensione di gratuità. L’evangelizzazione non è forse legata, quasi da diventarne un tutt’uno, alla gratuità? E allora la nostra credibilità di Chiesa, nel momento dell’annuncio, non passa attraverso la gratuità? È qui, mi sembra, che l’impulso di cui ti parlavo prende una più definita collocazione. Continuo a lavorare manualmente per avere di che vivere come la maggioranza degli uomini, separando nettamente l’evangelizzazione dal fatto che ne potrei trarre il mio sostentamento come prete; ed è pure qui che vedo concretamente realizzarsi la dimensione della gratuità. Certo, una dimensione raso terra, che fa brutta figura di fronte a tutte le belle ragioni ascetiche che hanno configurato la nostra spiritualità sacerdotale e che, tutto sommato, hanno legittimato offerte, tariffe, congrue, benefici, stipendi di professori di religione, accettati o stimolati proprio per avere la possibilità di evangelizzare! Ma noto che anche tu non sei troppo tenero con la nostra «spiritualità sacerdotale», per cui non farai certamente fatica a perdonare la mia riduzione della gratuità, da parte dell’uomo, a un fatto puramente di sostentamento. In questa prospettiva non faccio differenza, almeno teoricamente, fra i diversi tipi di lavoro che mi possono permettere la gratuità dell’evangelizzazione. Se ho scelto ancora quello salariale è per motivi contingenti, in relazione a una situazione che mi pare richieda una particolare attenzione per il salariato, proprio in rapporto all’evangelizzazione. L’importante, però, mi sembra sia la netta separazione fra evangelizzazione e fonti di sostentamento. Naturalmente questo è un mio convincimento che non voglio assolutizzare. Posso sbagliarmi, ma non sarei onesto se non lo volessi concretizzare.
(…) Oggi la CEI parla di evangelizzazione. È lecito auspicare che tutto non si riduca a inventare nuovi mezzi di evangelizzazione (magari con l’aiuto della RAI-TV) come se ne cercarono per la «conquista dei lontani» e la «sacramentalizzazione», coi risultati che sappiamo, e che si affronti con coraggio il tema della gratuità (evidentemente con tutte le conseguenze ch’essa comporta)? Se è lecito, lasciamo perdere la pastorale operaia e le commissioni di studio (hai notato che queste commissioni girano sempre attorno alla necessità di studiare la situazione?): siamo già nella pastorale della Chiesa, di questa Chiesa di sempre, che cerca di togliere gli ostacoli perché l’annuncio da parte di chi lo propone come dono ricevuto gratuitamente diventi credibile. In ultima analisi, la credibilità che debbo ricercare nel momento dell’evangelizzazione è questo mettermi sotto il giudizio dell’Evangelo: è la stessa evangelizzazione nella sua dimensione di gratuità che mi evangelizza, la credibilità ricercata nella gratuità che mi fa scoprire la credibilità dell’Evangelo come espressione dell’amore gratuito di Dio. Sono ben lungi dal pensare che tutto questo sia la soluzione del dovere dell’evangelizzazione come la parola fatidica che apra la porta dei tesori nascosti. L’evangelizzazione è pur sempre un fatto di Dio, un tesoro ricevuto
che portiamo in vasi di creta. E con questa immagine paolina che mi ridimensiona (se mai ti avessi dato l’impressione di impancarmi a dottore) a livello dì un don Abbondio, vaso di coccio costretto a viaggiare in compagnia di vasi di ferro, ti abbraccio con animo amico.
dalla Lettera postilla riportata nel libro di Luisito Bianchi “Come un atomo sulla bilancia” (pp.271-75), in risposta ad una presentazione di Maurilio Guasco dal titolo L’Evangeizzazione impossibile (ivi pp. 255.270).