Civilissimo gelso che t’ostini
a sopravvivere come straniero
su qualche proda della mia pianura,
tu una volta gentile custode
di geometriche piane e di limpide
acque, l’antica gioia ancora serbi
ai miei occhi e parabole mi scrivi
di fanciulleschi giochi quando incontro
festinante mi vieni a imporporare
le labbra con memorie di dolcezza
e a stupirmi i sangue con fruscii
nello scrigno fatato del solaio
della paterna casa alla stagione
dei bachi ghiotti di seriche foglie.
Legno di gelso fu certo la croce
e l’incantato secchio del lavacro
già che resisti all’umana insipienza
che il vorace trattore elesse a nuovo
signore della mia pianura e pronto
ti dichiari a rinnovate alleanze
che ti conducano al dono compiuto
per esultanti fuochi di camini
e bozzoli dorati e labbra turgide
di bambini e riparo alla stanchezza
di mietitori.
All’ultima parabola
dai tuoi rami tracciata all’orizzonte
dell’infuocata mora che per troppa
dolcezza muore, muto m’avvicino.
25 aprile 1991 – L.B.