Forse la parola umana più diffusa, più ripetuta (e questo senza discriminazioni di pelle o di religione o di cultura, o di tutto quanto può dividere), che fin dai primi gridolini dei bambini si cerca di trasmettere, è “grazie”. E forse è anche la parola in maggiore tensione a diventare gesto, realtà tangibile. Si dice che le parole volano mentre gli scritti rimangono. Se proprio si vuole essere fedeli al sapienziale modo di dire, anche la parola “grazie” vola, ma a modo di angelica farfalla, leggera e balsamica. Insomma, è un termine che potrebbe condensare tutta la storia dell’umanità da generazioni in generazioni che si saldano l’una all’altra dicendosi: grazie. Questo fra gli uomini. Ma quando si tratta di Dio? Impensabile raggiungerlo. “Gridate più forte”, scherniva il profeta Elia rivolto ai 450 profeti di Baal. Ma anche a gridare più forte non sappiamo come bisogna pregare (Rom 8,26); anche a moltiplicare parole, sa già lui in anticipo quello di cui abbiamo bisogno (Mt 6,8). Nemmeno la parola più delicata e preziosa dell’umanità, il Grazie, può raggiungerlo. E allora chiudiamo tutto e cerchiamo di aggiustare i cocci fra di noi, cancellando un Dio irraggiungibile? È a questo punto che Dio corre in nostro aiuto, pregando per noi con gemiti indicibili e dando così carne ai gemiti d’ogni creatura, ai gemiti fra di noi uomini in attesa che tutto si manifesti (Rom 8,22- 26). La sua stessa Parola s’è fatta carne per poter mettersi sulle nostre labbra e svelare se stessa nell’unica preghiera che è ancora gemito indicibile (Lc 11,2; Mt 6,9):
Padre, Padre nostro. Non diremmo dunque nemmeno grazie a tutto questo? Ma che sappiamo del modo con cui bisogna dire grazie a Dio? Anche qui lo Spirito corre in aiuto alla nostra debolezza e ringrazia lui per noi, dando carne al nostro grazie mentre si consegna nelle nostre mani, Corpo crocifisso e risorto, come l’unico, eterno Rendimento di Grazie: l’Eucaristia, appunto. È la nostra povera quotidianità del pane e del vino che diventa, nel mistero della carne e sangue di Dio, il grazie efficace per dargli la possibilità di consegnarsi nelle nostre mani, perché gli possiamo rispondere: Grazie! C’è da perdersi. È normale quando si tratta di Dio. Meno normale che chi dice queste cose non s’interroghi se nel fare eucaristia riconosce veramente il Corpo del Signore, come capitò a quei signori di Corinto che per fare eucaristia, ossia rendimento
di grazie con lo stesso Corpo di Cristo a tutti donato, mangiavano a quattro palmenti e lasciavano i poveri alla loro fame. È terribile il solo pensare che chi scrive e pensa vere queste cose possa udire, proprio mentre fa eucaristia: via, via, avevo fame e non mi desti da mangiare, era migrato in cerca di cibo come fanno alla loro stagione gli uccelli protetti, e tu mi hai ributtato alla mia desolazione. Via, via, non ti conosco. Ah mio Dio, ci sarebbe da morire, come loro, e accanto al tuo Corpo, di desolazione! Ma come, ho celebrato l’eucaristia col tuo Corpo per 59 anni, e tu non mi conosci? Via, via, non ti conosco. Che aggiungere? Amen, dirò, così è mio Signore.
(Da Dialogo, mensile dell’Azione Cattolica di Cremona)