Chissà quando e come, ma necessariamente c’è stato, nel lento – o repentino – formarsi della coscienza umana, il momento in cui uomo e donna, coscientemente e liberamente, vollero dare vita a un altro uomo. Dalla libertà dei due, fosse pure condizionata dall’istinto o dalla volontà di sopravvivenza e, quindi, non assoluta, derivò la costrizione d’un terzo uomo alla vita. Iniziò così la storia di grandezza e di miseria dell’umanità. Il ventaglio d’ogni vita d’uomo si apre con questo inizio non libero per chiudersi su una fine che è sempre imposta, avvenga la chiusura del ventaglio come si vuole.
Penso che tutta la gioia e la fatica del vivere consistano nel cercare di rendere liberi i due momenti di costrizione, ossia la nascita e la morte. Non faccio teorie, dico quello che è capitato e capita a me, vecchio ormai ma teso quotidianamente a realizzare e a gustare la pienezza del vivere. Mors et vita duello confixére mirando, si canta nella sequenza della messa di pasqua. Rifiutassi ogni sequenza e ogni pasqua, sempre rimarrebbe, e lo dico per me (e perché non per ogni uomo?), questa epica lotta fra vita e morte che ha come posta in gioco la liberazione dalla necessità del nascere e del morire. Dare il proprio assenso di uomo libero alla propria vita che iniziò indipendentemente dal mio assenso (se me l’avessero chiesto sarei stato già un uomo nato libero prima di nascere, lapalissiano!) significò per me cercare e, penso, trovare il fondamento sul quale si basa l’inizio del mio vivere.
Non so precisare quando questo avvenne definitivamente nella mia vita e attraverso quali stadi successivi. Non ero arrivato a maledire la notte in cui fui concepito perché era un’impresa troppo grande per me, e bastava Giobbe una volta per tutte. Però a un bivio sì, come penso avvenga prima o poi a ogni uomo, e con la possibilità (o allettamento) di accomodarsi ai bordi della strada finché la morte non fosse venuta a murare ogni possibilità di cammino. Ma non sarebbe bivio se non portasse delle indicazioni di luoghi diversi, di concetti antitetici, come pure di scelte perfettamente bilanciate nella loro liceità. Comunque l’andare da una parte o dall’altra è pur sempre un concorrere a rendere libera, con tale scelta, almeno in piccolissima parte, la necessità d’essere venuti al mondo.
Quando si studiava il latino, fin dai primi anni ci facevano notare la precisione di tale lingua. Per esempio, se ci si trovava davanti a delle particelle disgiuntive che l’italiano rendeva sempre in ogni caso con “o – o”, e le due cose contrapposte erano strutturalmente tali, il ragazzo traduceva “aut – aut”, altrimenti si rendeva la
contrapposizione con “vel – vel”. Penso che se si vuole andare al fondamento del proprio vivere d’uomo, il bivio deve essere del tipo “aut – aut”. O Dio o mammona, tanto per usare un’espressione evangelica che è certamente nel significato dell’“aut – aut”, ma che molto spesso si interpreta come se fosse un “vel – vel”, perché, si sa, per fare il bene occorrono i soldi, e anche per diffondere la buona notizia del Gratuito (è sempre possibile che un vitello d’oro cerchi di rappresentare un Dio in ritardo alla testa del suo popolo che ha fretta).
Per me, non essendo particolarmente religioso da osare di mettere su un piatto della bilancia Dio e sull’altro mammona, e arrivato alla conseguenza che mi bastasse l’uomo al posto di Dio e me ne cresceva, se era vero che Dio s’era manifestato nell’umanità del Figlio Gesù, il bivio che mi avrebbe portato al fondamento del vivere, perché ne risultasse un atto libero da costretto che era, fu un “aut – aut” puramente umano (il che non significa al di fuori di Dio): aut Gratuità aut interesse. Certo, non fu all’improvviso, vi fui preparato. Da chi e come non so; diciamo dagli avvenimenti. Lentamente, o anche con accelerazioni non provocate, mi accorsi che tutto quanto avevo m’era stato dato,che in ogni vita, e nel mondo tutto, c’era come un cuore che pulsava nei due movimenti di diastole e sistole, del dare e del ricevere. L’inter-esse, invece, era il frapporsi di mezzo e interrompere il libero fluire del movimento binario; un battito extrasistolico. Fu una continua scoperta gioiosa che tutto quanto ero e avevo, o credevo d’essere o d’avere, m’era stato dato; e a caratterizzare l’inizio della trasmissione del dono era la gratuità. La si poteva anche chiamare Amore, ma questo è un termine posto talmente in alto che per afferrarlo avrei corso io il rischio di banalizzarlo. E poi chi può dire che all’origine ci fu un atto di amore? Amore è assenza d’ogni possibilità di definizione; e, infatti, a voler definire l’Indefinibile per definizione, si balbetta che Dio è Amore.
La gratuità, invece, è a portata d’uomo dato che la si può definire per il suo contrario: gratuità è dare senza chiedere un contraccambio. Mio padre e mia madre
non mi chiesero il contraccambio; ma, se voglio dare un volto alla gratuità, scelgo quello di mia madre, l’elemento femminile del mio essere uomo. Forse per questo fino alla fase del passaggio fra adolescenza e giovinezza, dietro il volto di qualcuno, compagno o superiore, che mi faceva stizza, anche bollire di rabbia, vedevo il volto della loro madre che m’interrogava: Perché? È mio figlio, fallo per me.
Evidentemente questa gratuità all’inizio non sarà mai assoluta e quindi dovrà essere rinnovata a ogni momento perché la necessità si trasformi in libertà con tutto quanto comporta il porsi da uomini liberi. Immersi così nella vita, possiamo vederci, dentro e fuori di noi, come il campo del ricevere gratuitamente: dal sole all’acqua all’aria al processo del conoscere. Sarebbe la fine se alla gratuità subentrasse l’interesse: che cosa potrebbe chiedere in cambio il sole, la pioggia, lo sviluppo del pensiero? E infatti l’interesse porta alla strumentalizzazione; ed essa, saltata la protezione della gratuità, porta alla morte.
Se dovessimo vedere i miliardi di uomini che furono sono e saranno come portatori della vita gratuita, senza interessi, fin dall’inizio, sarebbe impensabile la loro
strumentalizzazione; ma se essa subentra per qualsiasi ragione, allora si scatena la violenza dell’antigratuità. Si può arrivare all’assurdo mortale che l’uomo, i miliardi di uomini, vengano cancellati, nel loro essere al mondo come esseri gratuiti, senza interesse. Salta quindi ogni protezione e si è alla mercé della strumentalizzazione, che può portare a guerre fame sterminio di massa.
Il recupero della memoria, di cui oggi (e forse sempre) c’è tanto urgente bisogno, dovrebbe arrivare fino a questo assoluto fondamento: tutto abbiamo ricevuto gratuitamente dall’inizio della nostra avventura umana, che dovremmo a nostra volta trasmettere gratuitamente, arricchito della parte toccata a noi. Non per nulla Dio, quando si volle manifestare, si fece uomo, assumendo tutto il ventaglio della nostra umanità con un concepimento d’assoluta libertà e una morte che sovranamente volle libera, per dirci la sua assoluta Gratuità, senza nemmeno l’interesse d’essere riconosciuto nella sua stessa Gratuità.
È significativo, mi sembra, che quasi a frontespizio della trasmissione della buona notizia stia il ritmo binario che regola ogni vita: ciò che avete ricevuto, datelo,
trasmettetelo, ma gratuitamente, come un fatto strutturalmente proprio dell’uomo.
Sarebbe fuori della storia degli uomini pensare che debba essere, per la sua struttura, la Chiesa stessa a ricordare continuamente tale ritmo, facendone memoria con l’incarnarlo in se stessa?
Luisito Bianchi
Conferenza tenuta all’Azione Cattolica di Brescia – settembre 2004